La claustrofobia, insieme all’agorafobia di cui abbiamo parlato nel precedente articolo, è tra le fobie più diffuse.
Il termine, dal latino claustrum, luogo chiuso, e dal greco phobia, paura, indica una paura eccessiva ed irrazionale degli spazi stretti e chiusi in cui chi ne è soffre si sente privo di libertà spaziale.
In particolare, ciò che terrorizza il claustrofobico non è tanto la grandezza dello spazio in cui si trova ma la sensazione di soffocamento che sperimenta in luoghi dove non percepisce possibilità di uscita. Benché sia un problema molto diffuso, spesso è sottovalutato e trascurato da chi ne soffre, forse con l’illusione che prima o poi passi o con l’errata convinzione che non ci sia rimedio.
Ignorare la claustrofobia significa alimentarla
Smettere di prendere l’ascensore e fare le scale a piedi, non raggiungere un luogo perché costretti a prendere la metro ed evitare luoghi affollati, col tempo diventano comportamenti cronici che si trasformano via via in abitudini di vita che rinforzano i meccanismi cerebrali alla base della claustrofobia.
Comprendere il perché del disturbo, scoprire le cause della claustrofobia e, soprattutto, accettare il problema anziché fuggire, sono le prime azioni da compiere per spezzare circolo vizioso della evitamento-alimentazione.
Claustrofobia, le cause possibili
Risalire alle possibili cause della claustrofobia è un passo fondamentale per rimuovere il disturbo alla radice. Generalmente i motivi scatenanti la claustrofobia possono essere riassunti in cinque concetti:
- Pericolo: la situazione in cui si vive, sia professionale che esistenziale, appare senza via d’uscita.
- Esperienza Traumatica: l’aver vissuto un evento traumatico che ha fatto temere per la propria vita o per quella di una persona cara.
- Pressione a cui si è sottoposti: forti pressioni, aspettative, richieste alle quali non ci si può sottrarre.
- Trasformazione: la vita che si conduce non è più percepita come propria ma non si riesce a fare alcun cambiamento.
- Cerebralità: la razionalità in cui si vive e che porta ad avere il controllo su ogni cosa intrappola la vitalità. L’istinto, le azioni spontanee vengono meno.
Altri malesseri associati alla claustrofobia
La claustrofobia può essere la sola spia di uno stato d’ansia, oppure essere accompagnata da altri segnali come l’agorafobia, l’ansia generalizzata o l’ipocondria.
Alcune manifestazioni fisiche possono presentarsi quando la persona si trova nella situazione specifica, ad esempio dentro un ascensore, e i più comuni sono accumulabili a quelli dell’ansia e degli attacchi di panico:
- tachicardia
- sudorazione
- difficoltà di respirare
- tremore
- vertigini e nausea
- formicolio degli arti
- iperventilazione
- perdita di controllo
L’aver sperimentato anche un solo attacco provocato dalla claustrofobia può essere sufficiente ad evitare nuovamente situazioni analoghe che potrebbero portare ad un nuovo attacco.
Cosa fare per superare la paura degli spazi chiusi
Quando la claustrofobia finisce col diventare un disagio invalidante al punto da intrappolare la persona in uno stile di vita limitato, può essere utile rivolgersi ad uno psicoterapeuta specializzato. Attraverso un percorso di psicoterapia, unito a tecniche di rilassamento per la gestione degli stimoli ansiogeni è possibile ritrovare l’equilibrio e aumentare così la propria qualità di vita.
Il Terapeuta aiuterà la persona ad inscrivere il malessere in un quadro e contesto più ampio, individuando le pressioni e le fonti d’ansia, per poterle così cambiare o gestire in modo più funzionale.
Mi occupo di disturbi di ansia (fobie, attacchi di panico, ansia generalizzata), di sessualità e di omosessualità, di disturbi alimentari, di depressione, di difficoltà legate alla sfera affettiva (familiare e/o di coppia).
All’interno del mio modello di lavoro utilizzo tecniche di respirazione, rilassamento, sessuologiche e EMDR.