Negli ultimi anni la parola “mobbing” è entrata a far parte del nostro vocabolario ad indicare quella forma di terrore psicologico sul posto di lavoro causata da parte di colleghi e/o superiori.
Il termine mobbing fu coniato per la prima volta negli anni settanta dall’etologo Konrad Lorenz che riscontrò questo comportamento in alcune specie animali. Questo comportamento viene messo in atto con l’intento di allontanare un proprio simile dal gruppo.
E’ solo negli anni ’90, però, che si inizia a parlare di mobbing anche in Italia, grazie allo psicologo Haraid Ege. In seguito a comportamenti aggressivi vessatori e ripetuti nel tempo, la vittima di mobbing si ritrova in una condizione di profondo disagio che si ripercuote in maniera negativa sul suo equilibrio psico-fisico e sul rendimento sul posto di lavoro.
Il mobbing può essere attuato in modi differenti e generalmente si parla di:
- mobbing verticale: quando il mobbing si realizza da parte di un superiore nei confronti di un dipendente o viceversa;
- mobbing orizzontale: tra individui aventi lo stesso grado lavorativo;
- mobbing collettivo: spesso parte di una strategia aziendale per la riduzione del personale;
- mobbing esterno: il datore di lavoro subisce pressioni e minacce di denuncia per comportamenti mobbizzanti.
Gli effetti del Mobbing
Secondo diversi studi, il mobbing può portare all’invalidità psicologica che si manifesta con problemi psichici, disturbi psicosomatici, depressione e, nei casi più gravi, suicidio. L’associazione PRIMA ha condotto un’indagine statistica in Svezia dalla quale risulta che il mobbing è fino al 20% la causa dei suicidi registrati in un anno.
Generalmente la vittima del mobbing viene emarginata, calunniata e criticata, e il “mobber” mette in atto comportamenti volti ad annientarla psicologicamente. Ecco che possono presentarsi forme depressive più o meno gravi, disturbi post- traumatici da stress, insicurezza, insonnia e anche problemi digestivi.
Le fasi del Mobbing
Harald Ege ha elaborato un modello a sei fasi attraverso cui si sviluppa il fenomeno del mobbing:
- Fase 1 – Conflitto Mirato:
La conflittualità generale viene indirizzata nei confronti di una vittima.
- Fase 2 – L’inizio del Mobbing:
Nella vittima inizia a farsi largo un senso di fastidio e disagio che, però, non sfocia ancora in malattie di carattere psico-somatico.
- Fase 3 – Comparsa dei Primi sintomi:
Insicurezza, problemi digestivi ed insonnia iniziano a presentarsi.
- Fase 4 – Errori ed abusi dell’amministrazione del personale:
Il caso di mobbing diviene pubblico e la vittima si assenta spesso per malattia.
- Fase 5 – Aggravamento dell’equilibrio psico-fisico
Il mobbizzato sviluppa sintomi di malessere sia sul piano fisico (cefalea, tachicardia, dolori articolare e gastrici) sia sul piano emozionale con ansia, tensione, disturbi dell’umore ma anche comportamentale con anoressia, farmaco dipendenza e bulimia.
- Fase 6 – Esclusione dal Mondo del Lavoro
La depressione porta la vittima alla ricerca di un’uscita da quella situazione, sia per dimissioni/licenziamento, richiesta anticipata di pensionamento, pensione di invalidità, sia, nei casi più gravi, con atti estremi, tutti accomunati dall’incapacità di reggere la pressione a cui è sottoposta.
Quando si può parlare di Mobbing?
A chi di noi non è mai capitato un conflitto con un collega o un capo scorbutico? Si può parlare di mobbing in questi casi? Certamente no, perché ci si possa definire vittime di mobbing è necessario che questa forma di terrore psicologico soddisfi determinati criteri come stabilito dalla sentenza n° 528 del 31 marzo 2011 del TAR Puglia Bari Sezione I:
Molteplicità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, posti in essere in modo sistematico e prolungato con intento vessatorio;
Evento lesivo della salute psico-fisica del dipendente;
Nesso eziologico tra la condotta del superiore e la minaccia all’integrità psico-fisica della vittima;
La prova dell’intento persecutorio.
Inoltre la Corte di Cassazione Civile Sez. lav. n° 3785 del 17 Febbraio 2009 ha sottolineato:
“Per mobbing si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psichico e del complesso della sua personalità“.
Come difendersi dal Mobbing?
Le continue critiche, gli attacchi e la svalutazione del proprio ruolo e delle proprie competenze possono mirare inevitabilmente all’autostima del mobbizzato e chi è vittima di mobbing deve necessariamente chiedere aiuto per uscirne. Ciò può avvenire sia sul piano giuridico che su quello psicologico.
Intraprendere un percorso psicoterapeutico può aiutare ad uscire dallo stato di malessere profondo, facendo riemergere la volontà di riscatto e di recuperare la propria autostima. Il terapeuta potrà aiutare la persona mobbizzata a sviluppare delle strategie efficaci di risposta al comportamento mobbizzzante.
Mi occupo di disturbi di ansia (fobie, attacchi di panico, ansia generalizzata), di sessualità e di omosessualità, di disturbi alimentari, di depressione, di difficoltà legate alla sfera affettiva (familiare e/o di coppia).
All’interno del mio modello di lavoro utilizzo tecniche di respirazione, rilassamento, sessuologiche e EMDR.